Gualtiero Redivo
[…] tra il caso e la necessità, Gualtiero Redivo che fa da raccoglitore emergenziale, dell’oggetto non più oggetto, della cosa non più cosa, per proporli ad un nuovo caso, ad una nuova necessità, come dire, a tanti, ognuno per sé, senza fare tante premesse teoriche, senza farsi tante illusioni, con la forza di volere entrare in altri tempi e in altri luoghi, con la forza del quid, che si viene a determinare, nella lotta del fare contro il non fare, nella luce contro l’ombra.
Consiste, proprio in questo modo d’essere e di fare il nucleo di forza, di originalità, di questi lavori, che nella loro genealogia, devono tanto a tanti, come cultura e antropologia di linguaggio, come tipologia espressiva, come genere emozionale, come anarchia stilistica, nella consapevolezza, che l’opera, questo tipo di opera, come concerto dodecafonico, di una, cento, mille opere, che si somigliano, quel poco o quel tanto, con cui si possono assimilare gli stati d’animo: ecco possiamo dire che si tratta di accumulazione di materiali metamorfici, resi in termini esistenziali e quasi mistici di una personale vocazione alla pittoricità, di una sconcertante individualità, che non si piega alle virtù rovesciate della moda ed ai capricci della volubilità stagionale, che non deve niente a nessuno, se non a se stesso e al proprio infaticabile specchio.
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Un grande gioco, elaborato e raffinato, in fin dei conti, fatto di un complicato, narcisistico, incrociarsi di specchi opachi, che sono le fantasiose anarchie delle valenze compositive, del farsi e disfarsi dei linguaggi e di quid, che si propongono all’assillo del voler dire senza dire, concentrandosi sull’espressione, come spontaneità, dell’apparenza sottratta ai codici orizzontalmente e verticalmente ordinati.
Corde, che non sono più corde, ma intrecci e armonie, plastiche che non sono più chimica, ma alchimia, escrescenze che non sono esuberanze ma tattilità, implosioni che sono arricchimenti stratificati, tramature pittoriche, come intensità visuali e fantastiche, collages, come misture tecniche della diversità, per affermare un superamento sublime della figuratività, fatta in modo ritmico, poetico, in modo che niente si possa presentare immediatamente, con nudità povera, perché su ogni momento, aleggia uno spavaldo spirito barocco, che invoca il nulla, ma aspira superbamente al tutto, come congresso dell’anacronismo dell’arte e della sua suprema contemporaneità.
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Così il contesto, umanamente ricco e complicato di Gualtiero Redivo, fatto di prorompente energia, covata “follemente” per tutta una stagione all’inferno (per dirla con Rimbaud), finisce per essere una prova di pittura, un modo d’andare oltre l’ordinario, che compare e scompare, verso la fissazione irrevocabile di immagini che vanno oltre le parole, in una disseminatio, qui e altrove […]
Francesco Gallo Mazzeo
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