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 Antonio Servillo 

Inquietudini dell’inconscio tra visione e sogno

 

I primi decenni del Novecento sono stati caratterizzati da una serie di movimenti artistici il cui intento ero quello di rompere i legami con il passato per affermare l’esistenza di un nuovo modo di rappresentare la realtà che dall’oggettività nelle opere dei periodi precedenti voleva staccarsi per porre l’accento sull’importanza della soggettività, di un sentire del singolo che doveva avere la precedenza sull’estetica del prodotto finale. Già alla fine del Diciannovesimo secolo il Fauvismo prima e l’Espressionismo poi, avevano sottolineato la priorità delle sensazioni interiori rispetto al riprodurre scene oggettivamente perfettamente aderenti alla realtà che però non riuscivano a lasciare un segno profondo sull’emotività dell’osservatore. Quelle prime avanguardie, seppure inconsapevoli di esserlo, avevano gettato le basi per una radicale trasformazione che andava di pari passo con il progresso scientifico e tecnologico dalle quali sono nati i movimenti artistici che hanno segnato la prima metà del Ventesimo secolo. Una delle più incisive, longeve e destabilizzanti correnti fu il Surrealismo che, seguendo le nuove scoperte in campo psicologico teorizzate e applicate da Sigmund Freud, si aprì al mondo dell’inconscio, del sogno, delle inquietudini e delle paure dell’essere umano, regalando alla storia dell’arte opere irreali, visionarie, angoscianti come le celeberrime tele di Salvador Dalì, emblema del movimento stesso, ma anche di Max Ernst, André Masson, Yves Tangui.

Il dissolvimento della realtà oggettiva e concreta per lasciar emergere sensazioni e sentimenti tanto irrazionali quanto però emblematici delle tempeste interiori dell’individuo sono evidenziate dalle immagini improbabili di oggetti, persone, corpi che sono destrutturati nelle forme, frammentati nei dettagli, spesso collocati al di fuori del loro contesto abituale, e che contribuiscono a dare il senso di inquietudine da cui l’osservatore viene investito, addirittura travolto in alcuni casi. Antonio Servillo, artista di grande esperienza che ha mosso i primi passi nell’arte da autodidatta, ha scelto proprio il Surrealismo per lasciar fluire la propria creatività, scoprendo e svelando un proprio mondo interiore che aveva bisogno di palesarsi attraverso la libertà espressiva che solo in questo particolare movimento trovava le giuste affinità. Le sue opere sono a metà tra visioni dal futuro, di un mondo in cui l’uomo diverrà solo un esecutore, un suddito del regno della meccanica di quegli androidi che nel tempo presente sta cercando di creare, come nel lavoro Distruzione di massa, e realtà del passato che si ripetono e si attualizzano generando un corso e ricorso dal quale l’essere umano sembra non essere in grado di uscire, come nella tela Peccato originale.

L’immaginario di Servillo si lega alle atmosfere orwelliane su possibili società future, in cui tutto è ordinato e controllato da una mente superiore, quella delle macchine, che tutto decide e tutto determina mentre il singolo è destinato a diventare un prodotto di quel controllo, di quella creazione predeterminata; nell’opera Scala nervi è evidente il senso della serialità, di quella rassicurante certezza che uniformando la pluralità tutto è più facilmente governabile, ed è proprio in questo che si svela la filosofia profonda dell’artista, quella della consapevolezza del bello ma anche del rischio di distaccarsi dalla massa, dal pensiero comune. Dunque l’umano divergente dalle linee guida generalizzate da un lato è libero, ma dall’altro costituisce un’anomalia proprio perché non rientra all’interno degli schemi predeterminati. Le visioni del futuro si accompagnano a quelle di un mondo attuale incerto, instabile, che nel suo inconscio si trasforma in un mondo parallelo in cui far emergere considerazioni sull’ossessione contemporanea nei confronti della tecnologia, considerazioni perfettamente evidenti nel lavoro Il meccanismo in cui i libri sono utilizzati solo per sorreggere una parte dell’apparato di ingranaggi, la parte iniziale che sembra restare dimenticata in una realtà che non appartiene più a quella nuova, modificata. Il messaggio che ne fuoriesce è un’esortazione di Servillo a non dimenticare l’importanza della cultura, del gesto di aprire un libro anche se la tecnologia avanza rapida, perché una società senza cultura riduce l’essere umano al livello di una macchina, di una semplice parte di meccanismo senza anima, senza ricordi, senza capacità di approfondimento. Ogni singolo dettaglio presente nelle opere di Antonio Servillo ha un senso specifico, un significato nascosto, un motivo per essere all’interno del contesto, ne è chiaro esempio l’opera Il muro, in cui l’attenzione dell’osservatore è catalizzata dalla figura centrale, da quell’occhio disorientato e afflitto per l’ambiente in cui si trova a essere, fatto di muri, di divisioni, di inquinamento provocato dalle ciminiere sullo sfondo, dalla necessità di adeguare la natura umana a un universo parallelo che non ha più niente di quello di un passato ormai troppo lontano per essere ricordato, seppure non così tanto da non essere rimpianto. Il tratto pittorico è netto, deciso, i colori sono stesi in modo pieno e uniforme, l’attenzione al particolare è fortemente presente, così come la maestria nel disegno, base imprescindibile di uno stile figurativo attraverso il quale sembra descrivere in modo istintivo ciò che la mente ricorda dopo il momento inconscio del sogno. Nel corso della sua lunga carriera artistica Antonio Servillo ha partecipato a moltissime collettive nella città di Roma e nel territorio laziale ed è membro del consiglio direttivo dell’Associazione Cento Pittori di via Margutta.

Roma, gennaio 2020

 

Marta Lock

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